Il progetto “Mi ci vedo” coinvolgerà i non vedenti nella creazione di oggetti artigianali.
PALERMO – Il volontariato che dalla Casa Circondariale Pagliarelli arriva all’Istituto dei Ciechi di Palermo Florio Salamone. Il leitmotiv rimane invariato: l’obiettivo è insegnare un mestiere per l’inserimento nel mondo del lavoro. Le “Pupe del Pagliarelli”, le bambole cucite a mano dalle detenute, ideate da Antonella Macaluso e Peppa Genzone dell’associazione “Un nuovo giorno”, conquistano nuovi orizzonti nel progetto “Mi ci vedo”, in cui i ragazzi non vedenti potranno cimentarsi nella creazione di manufatti artigianali. Ma non solo bambole. Il maestro delle ceramiche Nino Parrucca insegnerà ai soggetti con fragilità come si fa a diventare artigiani della ceramica.
I migliori, più meritevoli e capaci, avranno un contratto di collaborazione. Nino Parrucca presenterà inoltre un logo, simbolo degli oggetti di ceramica realizzati all’Istituto di via d’Angiò, alle spalle della Fiera del Mediterraneo. L’edificio a tre piani che ne è la sede fu costruito sopra il nucleo dell’antica Villa del Pigno, la cui realizzazione risale alla fine del XVIII secolo, su un’area complessiva di circa 15.000 metri quadrati. Al suo interno è presente anche una sala concerti con 100 posti a sedere. “L’Istituto dei Ciechi Florio Salamone di Palermo vuole diventare un punto di riferimento cittadino per lo svolgimento di attività sociali rivolte ai portatori di disabilità – commenta il legale rappresentante Antonio Giannettino –. Entro marzo si procederà all’evidenza pubblica per selezionare i ragazzi e assicurare pari opportunità a tutti. Il progetto è rivolto non solo ai non vedenti, ma anche ai ragazzi con spettro autistico e sindrome di Williams. I partecipanti avranno un momento di formazione nell’arte della ceramica e del cucito, e poi un momento di produzione e commercializzazione attraverso le attività private. Gli utili saranno distribuiti all’Istituto e agli stessi ragazzi. La vera sfida oggi è quella di reinventare per loro nuove opportunità lavorative”.
di Licia Raimondi